Rischio zero sicurezza sul lavoro: cosa significa?

Nell’ambito della sicurezza sul lavoro, il cd. rischio zero si scontra con la realtà e con l’impossibilità di attuarlo, in moltissimi casi. Ecco perché appare opportuno parlare di rischio residuo.

 

La sicurezza sul lavoro è un tema importante, specialmente oggi in alcuni contesti in cui i pericoli giornalieri non mancano. Pensiamo ad es. all’ambito dell’edilizia e a quello industriale in generale: non di rado sono pubblicate notizie di cronaca, relative ad incidenti anche molto gravi, se non letali.

 

Il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, ossia il d. lgs. n.81 del 2008, costituisce la predisposizione di un baluardo contro tutti quegli eventi che possono minare la salute del lavoratore, tanto che oggi si può affermare che nel nostro paese c’è una legislazione sostanzialmente completa e moderna in tema di prevenzione degli infortuni e incidenti. C’è ancora molto da fare, soprattutto per migliorare la sensibilità e la consapevolezza verso le criticità correlate alla sicurezza sul lavoro, tanto che il Governo a dicembre 2021 ha deciso di intervenire con alcune modifiche (formazione del datore di lavoro, preposti, …)

Quindi ha senso parlare di ’rischio zero’ sul luogo di lavoro, oppure è più ragionevole sostenere la corretta gestione del ’rischio residuo’? Cioè dobbiamo pensare di eliminare qualsiasi pericolo o abbiamo un margine di rischio che rimane dopo la messa in campo di tutte le misure e le modalità organizzative mirate a contrastare il pericolo di infortuni? Argomento difficile per alcune sfaccettature, e sono consapevole che siamo davanti a temi importanti, che interessano la collettività dei lavoratori e il loro diritto all’integrità psicofisica.

Il rischio zero: in che cosa consiste?

Il rischio zero è rappresentato dall’assenza totale di pericoli, o dal loro azzeramento, durante un’attività di lavoro in azienda. In particolare, il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi sul luogo di lavoro e deve fare in modo che ciascun fattore di rischio possa essere annullato o, se non è possibile, ridotto al minimo.

Nella stragrande maggioranza delle situazioni pratiche, il rischio zero è un obiettivo irrealizzabile. Come faccio ad impedire ad un lavoratore di inciampare sui suoi stessi piedi? Oppure di schiacciarsi un dito nella portiera del furgone? E se faccio tutto quanto necessario e l’incendio si verifica lo stesso?

Appare allora molto più opportuno parlare di rischio residuo e di riduzione del pericolo in azienda, in rapporto ad ogni attrezzatura di lavoro e a ciascuna mansione svolta. Per farlo ci si può appoggiare a norme tecniche o a linee guida ad hoc.

Nell’analisi delle situazioni di pericolo emergerà molto spesso l’impossibilità di azzerare un certo fattore di rischio, in quanto tecnicamente impossibile. Tuttavia, è possibile ridurlo a seguito dell’adozione di varie misure di sicurezza (prevenzione e protezione) di tipo Tecnologiche, Organizzative e Persone (T.O.P.) che emergono nella fase di valutazione dei rischi.

Insomma, molto spesso si discute di voler arrivare al rischio zero, ma di fatto il principio è che il rischio zero nella pratica è possibile solo se non faccio una determinata cosa in grado di crearmi un danno.

Ho un rischio per le attività in quota? Posso fare tutto il necessario per essere il miglior installatore di tetti, fotovoltaici, pannelli solari, … adottare tutte le misure tecnologiche per evitare di cadere. Inserire metodologie organizzative moderne ed efficaci, ma non avrò eliminato il rischio. Questo perché l’errore umano ci può sempre essere, per il caldo, la distrazione, l’usura non visibile, …

Quindi anche se faccio tutto, il rischio di cadere dal tetto non l’ho eliminato, non almeno finché vado sul tetto

Nella realtà delle attività lavorative, questo rischio residuo diventa il punto cardine del principio dell’accettabilità del suddetto rischio, che è ciò che effettivamente merita considerazione.

Cosa significa? Faccio tutto il possibile, magari qualcosa in più, il rischio di cadere dal tetto sono consapevole di non averlo eliminato, ma sono altrettanto consapevole che prima che succeda un evento di questo tipo ci vuole una combinazione di fattori talmente rara, che probabilmente non capiterà mai finchè sono in vita. Allora devo intervenire ancora per poter ridurre il rischio ulteriormente?

Attenzione: questo concetto non è la scusa per non fare più niente. Non significa che vista la mia “propensione” a rischiare, posso fare meno oppure non fare nulla. Devo sempre comunque intervenire. Il ragionamento lo posso fare quando arrivo al limite in cui qualsiasi intervento è teoricamente fattibile, ma economicamente e tecnologicamente inutile, in quanto non modifica la situazione in modo sostanziale.

Ricapitolando, se il rischio zero non è quasi mai ottenibile; tuttavia, si può agire per ridurlo il più possibile, con:

  • Una buona valutazione dei rischi (DVR) che non sia solo carta;
  • l’intensificazione dei controlli (interni ed esterni) per verificare che non ci siano cambiamenti o violazioni delle regole;
  • la diffusione della cultura della sicurezza a tutti i livelli.

Quindi se parliamo di rischio zero e di rischio residuo, non possiamo non fare riferimento al DVR essenziale per individuare i fattori di rischio e le misure da predisporre per la sicurezza in azienda.

In altre parole, detto documento è il prospetto più importante che racchiude rischi e misure di prevenzione per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, ed è obbligatorio per tutte le aziende con almeno un lavoratore.

Inoltre la stessa giurisprudenza della Cassazione ci aiuta a fare chiarezza su questi temi, con la sentenza n. 4970 del 2017. In essa la Suprema Corte si è pronunciata circa il quadro degli obblighi di sicurezza gravanti sul datore di lavoro e sulla distribuzione dell’onere probatorio nella causa di risarcimento danni, attivata dal lavoratore a seguito di infortunio sul lavoro. Le considerazioni di questo giudice sono significative perché l’art. 2087 del Codice Civile dispone che il datore di lavoro è obbligato ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, in base alla particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a proteggere l’integrità fisica e la personalità morale dei propri prestatori di lavoro.

In particolare, in ipotesi di infortunio, il datore di lavoro deve rispondere dei danni subiti dal proprio lavoratore subordinato, soltanto nelle circostanze in cui abbia violato e/o omesso delle misure di sicurezza:

  • previste dalla legge (c.d. misure di sicurezza nominate);
  • individuate dalle conoscenze sperimentali e tecniche del momento (cd. misure di sicurezza innominate).

Da precisare che, quanto al datore di lavoro, in ipotesi di misure di sicurezza “nominate”, la prova liberatoria è ottenuta con la dimostrazione di avere rispettato le prescrizioni di legge. Nelle circostanze delle misure di sicurezza “innominate”, il datore è obbligato a provare di avere scelto i comportamenti specifici suggeriti dalle conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standards” di sicurezza di solito rispettati nel comparto e/o individuati da altre fonti analoghe.

Soprattutto, la Cassazione ha rimarcato che, in linea generale, sussistono lavorazioni connotate da un’intrinseca pericolosità. Quest’ultima non può essere in ogni caso eliminata, pur usando tutte le misure necessarie a prevenire il rischio di infortuni (se lo dice la Cassazione chi siamo noi per pretendere il rischio zero?). Nella citata sentenza è dunque affermato che, in dette circostanze, “non può accollarsi al datore di lavoro l’obbligo di garantire un ambiente a “rischio zero”, egualmente non può pretendersi l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili”.

Se così non fosse, si avrebbe una responsabilità oggettiva (non prevista dall’ordinamento e dall’art. 2087 del Codice Civile) a carico del datore di lavoro, che pur adottando un comportamento diligente sarebbe considerato responsabile dell’infortunio.

Pertanto, nella sicurezza sul lavoro la diligenza richiesta è soltanto quella esigibile per essere l’infortunio connesso:

  • a un comportamento colpevole del datore di lavoro;
  • alla violazione di un obbligo di sicurezza;
  • alla mancata predisposizione di misure idonee a prevenire eventi di danno per i propri lavoratori.

Sono invece inesigibili le misure e cautele diverse da quelle prescritte, laddove di per sé il pericolo di una certa operazione non sia eliminabile e non sia possibile l’adozione di accorgimenti, per contrastare eventi di infortunio del tutto imprevedibili.

Infine, ricordiamo che la Cassazione ha rimarcato che il lavoratore che fa causa per il risarcimento del danno dopo un infortunio patito sul luogo di lavoro è comunque obbligato a dimostrare sia l’inadempimento del datore, sia il nesso causale tra inadempimento e danno subito.

La Suprema Corte ha in particolare precisato che spetta al lavoratore allegare l’omissione imputabile al datore, nel predisporre le misure di sicurezza (collegate alla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica) e doverose per impedire il verificarsi del danno alla salute.

Faccio un esempio per chiarire:

due lavoratori litigano sul luogo di lavoro e vengono alle mani. Uno dei due finisce in pronto soccorso con il naso rotto e fa denuncia al datore di lavoro per infortunio. Verrà risarcito?

Alcuni potrebbero dire di sì perché è colpa del datore di lavoro se si sono picchiati, in realtà il nesso causale potrebbe essere diverso. È capitato che due lavoratori litigassero in azienda per “questioni di corna” venendo alle mani. Cosa c’entra il lavoro con questo? Quali azioni avrebbe dovuto mettere in piedi il Datore di lavoro per evitare una cosa del genere?

Conclusioni

Forse ho un po’ estremizzato con gli esempi, ma la realtà ci dice che spesso il datore di lavoro viene condannato non perché abbia causato l’infortunio, ma perché non è in grado di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitarlo. Questo “dimostrare” a volte si concretizza in un buon DVR, in una buona formazione fatta regolarmente, con l’addestramento necessario, cioè rispettando le misure di sicurezza previste. A volte (non sempre), il rischio “accettabile” c’è, ma l’azienda non è in grado di dimostrarlo per carenza di organizzazione. Quale? Quella necessaria a dimostrare le mille cose fatte per rendere il rischio residuo accettabile. Ho fatto l’addestramento? Se sì scriviamolo (non è carta inutile). Ho deciso per un macchinario più sicuro perché l’altro aveva dei problemi? Teniamo traccia delle e-mail fatte, dei ragionamenti, … a volte bastano gli appunti della riunione.

Insomma, tra le misure di sicurezza, secondo me, la più importante è una corretta organizzazione

 

Ai posteri l’ardua sentenza